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Comunicare belle notizie nelle situazioni di crisi

Le numerose iniziative benefiche nate per supportare la lotta al coronavirus hanno generato un flusso di comunicazione e di condivisioni social che sembrano smentire l’assunto giornalistico secondo il quale “le buone notizie non fanno notizia”.

L’emergenza COVID19 sta inevitabilmente dominando la scena della comunicazione attraverso i media tradizionali e i social network, generando una strenua ricerca di informazioni sempre più dettagliate in grado di rispondere ai dubbi e alle paure di lettori e utenti digitali.

Quando cerchiamo delle notizie, vogliamo farci un’idea precisa e possibilmente realistica di ciò che accade intorno a noi, ma nei momenti di crisi o emergenza siamo circondati, e spesso sovrastati, da un flusso di notizie la cui portata viene amplificata dal moltiplicarsi delle fonti di informazione. Non più soltanto i media tradizionali, giornali e TV, ma anche i social network e le app di messagistica istantanea che, fornendo accesso veloce e diretto a una mole enorme e incontrollabile di dati, genera un circolo vizioso in cui gli aspetti più angoscianti della situazione prendono il sopravvento. 

Le ricerche nel campo della psicologia evoluzionistica e sociale ci dicono che il cervello umano è biologicamente predisposto e più sensibile alle notizie spiacevoli e agli stimoli negativi che a quelli positivi. Questo fenomeno, noto anche come negativity bias, fa sì che la nostra mente tenda ad indugiare più sugli eventi che suscitano emozioni negative, piuttosto che su quelli che ci procurano sensazioni piacevoli. 

Eppure, nei momenti di crisi o di difficoltà come quello che stiamo vivendo, le persone hanno bisogno di buone notizie, come dimostrato dall’elevato volume di articoli, approfondimenti e condivisioni social dedicati alle numerose iniziative benefiche e di raccolta fondi promosse nelle ultime settimane da brand noti in tutto il mondo ma anche da piccole realtà o privati cittadini. Dalle generose donazioni di grandi gruppi come ARMANI, FERRERO, LAVAZZA, MONCLER, BENETTON alle aziende che riconvertono le proprie linee produttive per rendere disponibili mascherine e gel disinfettante, come il Gruppo LVMH o la piemontese MIROGLIO, fino ai ristoratori che fanno rete per consegnare pasti gratuiti al personale medico degli ospedali, la lista dei gesti di generosità continua ad arricchirsi. Di pari passo, si moltiplicano gli articoli che danno visibilità a questi progetti, raccolti e condivisi anche sui social network da influencer e giornalisti, che stanno dando vita ad uno storytelling positivo che aiuta a rassicurare gli animi. Come spiega Martin Seligman, padre della psicologia positiva “non occorre svuotarci di ciò che è negativo, ma riempirci di ciò che è positivo”. Le belle notizie dal mondo sembrano destinate a trovare sempre più spazio all’interno dei palinsesti.

Allo stesso risultato ha portato il progetto pilota sul giornalismo costruttivo realizzato qualche anno fa per il quotidiano inglese The Guardian da Mark Rice-Oxley, il quale ha dichiarato:  “Quando scriviamo di qualcosa che funziona accade una cosa bizzarra: le persone lo notano. Le buone notizie vengono lette fino alla fine, vengono condivise e generano un effetto positivo e di benessere sui social media. Poi le persone ci scrivono per ringraziarci.”

Se è vero che l’ideogramma cinese che rappresenta il concetto di crisi porta in se anche quello di opportunità, è proprio nelle belle notizie la chiave di volta che ci permette di assumere una prospettiva consapevolmente più ampia che non miri ad escludere ciò che è negativo, ma ad abbracciare anche ciò che di bello accade nella nostra realtà. Questa opportunità è a disposizione di chiunque voglia e sappia coglierla. Dei brand, che possono farsi testimoni di un modo più maturo di intendere la responsabilità d’impresa e di connettersi in modo più profondo e autentico con le proprie audience; delle agenzie di relazioni pubbliche e degli esperti di comunicazione cui spetta il compito aiutare i propri clienti ad interpretare il momento presente e a ridisegnare strategie e progettualità; dei professionisti dell’informazione che nel modello del giornalismo costruttivo possono trovare un nuovo approccio ai lettori, per sensibilizzarli e coinvolgerli mettendo in luce le soluzioni ai problemi e alle difficoltà del momento.   

 

Articolo di Giulia Serazzi

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