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Sound(PR)Talks: il branding agile raccontato da Flavia Rubino

Quanto è importante il fattore fiducia nell’economia moderna? In un mondo sempre più interconnesso, dinamico e competitivo, ottenere e mantenere la fiducia del pubblico è un requisito essenziale per salvaguardare la salute di un brand. Oggi, ancora più che in passato, i brand che riescono a guadagnarsi la cosiddetta trust possono godere di un vantaggio competitivo. Si tratta di un obiettivo ambizioso che si può raggiungere lavorando con metodo e costanza sulla brand reputation, valori e purpose, strumenti imprescindibili per creare valore e raggiungere una dimensione “più alta” che è l’etica del business e della comunicazione.

Ne abbiamo parlato con Flavia Rubino, autrice del libro “Il branding agile e la formula della fiducia” (Hoepli Editore) attraverso il quale ci porta a riscoprire alcuni concetti fondamentali da lei rivisitati in modo brillante e più che mai attuale 𝗽𝗲𝗿𝗰𝗵𝗲́, come lei stessa ci insegna: “𝗶𝗹 𝗱𝗶𝗴𝗶𝘁𝗮𝗹𝗲 𝗽𝗮𝘀𝘀𝗮 𝗶𝗻 𝗳𝗿𝗲𝘁𝘁𝗮 𝗲 𝗹𝗲 𝗯𝘂𝗼𝗻𝗲 𝗶𝗱𝗲𝗲 𝗻𝗼”.

 

I brand di successo sanno creare relazioni di fiducia che si traducono in valore duraturo. Sviluppare e mantenere una sana cultura di marca è quindi un fattore competitivo di successo. Quali consigli daresti ai brand per tornare ad essere “agili”? Puoi indicarcene 3 tra quelli che ritieni essere i più importanti?

Le grandi aziende con brand storici hanno bisogno di agilità per innovare e creare valore in un mercato sempre più dinamico. Quello che è accettabile oggi potrebbe non esserlo più nel giro di pochi mesi, pensiamo ad esempio alle tante implicazioni della sostenibilità ambientale e “climatica”, imperativo sempre più pressante.
Le piccole e medie aziende hanno forse una maggiore flessibilità e rapidità di azione, ma spesso non hanno abbastanza consapevolezza di come creare e misurare un valore di brand. Essere agili non significa saltare a piè pari i fondamentali del brand marketing, ma metterli a fuoco prima e meglio. Per farlo occorrono:

  1. una conoscenza maniacale dei clienti, dei loro diversi gruppi psicografici (non demografici), dei loro ideali e di come questi si traducono in decisioni
  2. una visione chiara del miglioramento che il brand vuole portare nella vita delle persone, da cui discende coerentemente e un sistema di valori e una personalità
  3. un’attitudine a testare, misurare, imparare, correggere, che non riguarda solo le performance di breve periodo, ma anche la fiducia nel lungo periodo.

Il digital ci ha abituati ad un’accelerazione dei tempi che ha portato ad accorciare le distanze tra strategia e tattica sino a farle combaciare, nella migliore delle ipotesi, e a sacrificare la strategia in molti altri casi. Perché invece è importante adottare un approccio strategico, e quali sono i vantaggi per i brand che sapranno riappropriarsi delle basi del brand marketing?

Ormai anche i canali digitali sono saturi: affollamento, quindi minore efficacia, quindi maggiori costi per fare reach e conversioni. Stiamo finalmente capendo che non si può più ragionare per singole campagne e tool digitali, perché non si può costruire un successo duraturo solo con queste tattiche e in assenza di una strategia. Il guaio è che molti non capiscono più la differenza! Se per qualche anno abbiamo seguito ciecamente lo slogan “digital first”, ora dobbiamo più saggiamente tornare a “brand first”: cioè non esiste una strategia digitale, ma solo una strategia di brand che risponda alle domande fondamentali “chi siamo, cosa facciamo, per chi lo facciamo, e come”. Sono quelle le risposte (non banali) su cui tenere fermamente il timone.
I brand che sviluppano e gestiscono una strategia di lungo periodo, al contrario dei tanti altri prodotti privi di un’identità di brand, creano un valore che va al di là dell’acquisto di un prodotto/soluzione e sono in grado di gestire sia le azioni di attivazione che stimolano le vendite nel breve, sia l’equity che genera la fiducia e quindi nuovi consumatori e vendite future, sia infine l’esperienza dei clienti attuali che genera advocacy e fedeltà.
Quello che auspico è che l’AI liberi tempo per la strategia, automatizzando le attività time consuming e a basso valore aggiunto (come l’impostazione, l’ottimizzazione e la misurazione delle campagne) e lasciando più spazio ad attività prettamente umane come ascoltare i clienti, imparare dalle loro esperienze e sviluppare la strategia in grado di soddisfarli al meglio. Ma il rischio è che molti professionisti formatisi esclusivamente nel digitale si trovino all’improvviso con “la gabbia aperta” senza sapere come usare queste opportunità.

 

Le relazioni pubbliche sono naturalmente votate ad aiutare i brand a creare e mantenere un rapporto di fiducia con le persone e gli ecosistemi relazionali con cui interagiscono. Cosa possono mutuare le PR dal branding agile per acquisire una marcia in più?

L’ascolto e la conversazione costante! Sono loro i carburanti della fiducia, che mantengono l’allineamento strategico e permettono di scoprire sempre nuovi insight sulle persone per cui i brand creano valore.
Le PR possono svolgere un ruolo centrale nel design delle esperienze dei brand, perché intermediari/mediatori tra i brand stessi e i loro stakeholder. In quanto tali possono promuovere progetti di autentica co-creazione nelle aree vitali per la salute dei brand oggi: la comunicazione, l’innovazione, la responsabilità sociale.
E infine, per tornare agli aspetti agili della misurazione che citavo all’inizio, le PR potranno aiutare i brand a sviluppare una propria diagnostica della fiducia e a raccoglierne gli indicatori – magari anche in questo coadiuvati e supportati dall’AI che velocizzerà enormemente i processi di rilevazione e organizzazione dei dati.

 

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