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Nella comunicazione digitale un sorriso vale più di mille parole

Emoticon: il vero linguaggio universale?

di Ilaria Sala

Se in passato il mestiere di relatore pubblico passava attraverso incontri e strette di mano, ormai nei nostri uffici stampa sia in ambito tradizionale sia per le digital PR la pratica della scrittura supera di gran lunga quella della conversazione, sia essa telefonica o vis-à-vis. Scrivere è sempre stata una parte importante del nostro lavoro, certo, ma negli ultimi anni ha acquisito un ruolo ancora più allargato perché siamo tutti diventati multitasking e sfruttiamo una multicanalità che tende a far convergere stili e modi di conversazione b2b e b2c, smussando in misura più o meno marcata i confini tra privato e professionale. Mentre stiamo chattando con un giornalista, postiamo su Facebook, ultimiamo un’email o sintetizziamo in 140 caratteri la notizia che vogliamo mettere in evidenza sul nostro profilo Twitter, ricevendo nel frattempo una notifica di WhatsApp non per forza pertinente all’attività lavorativa.

In questo nuovo equilibrio tra scritto e parlato, con un netto sorpasso del primo sul secondo, l’umore di chi scrive, il tono dell’espressione e l’espressività del vis-à-vis hanno dovuto riappropriarsi dei loro spazi, e ci sono riusciti con vigore grazie alle emoticon che, al contrario di ciò che si potrebbe credere, non sono un’invenzione così recente e neppure un elemento trascurabile, per certi versi.

L’unione del lato emozionale a delle icone ha origine nel lontano 1881, come arte tipografica del giornale umoristico statunitense Puck, anche se poi è stato l’informatico Scott Fahlman[1] a proporne l’utilizzo esteso noto a tutti. Oggi più che mai la diffusione delle faccine, che da alcuni viene considerata un fenomeno adolescenziale o talmente radicato da esser ormai privo di significato, in realtà colma una mancanza del tradizionale testo scritto, e ciò nella comunicazione mediata dalle tecnologia può risultare un valore aggiunto.

È vero che una emoticon è razionale, mentre il linguaggio del nostro viso è spontaneo e a volte traditore, ma è altrettanto vero che il destinatario dei nostri scritti attribuisce un valore alle faccine che vede. Una ricerca australiana ha infatti dimostrato che il nostro cervello interpreta uno smile come un sorriso reale, perché vedendo un sms con i due punti trattino chiusa parentesi spesso il sorriso viene contraccambiato.

Questa corrispondenza non è sicuramente da sottovalutare nelle comunicazioni che ci vedono protagonisti nel quotidiano: le faccine aiutano ad interpretare un messaggio, soprattutto quando interagiamo con colleghi stranieri esprimendoci reciprocamente in una lingua che non è la nostra o rispondiamo di fretta e il solo testo suonerebbe come una replica secca e fredda.  Addirittura i sorrisini virtuali contribuiscono a creare piacevoli simpatie con quei clienti, fornitori o partner con cui ci interFACCIAmo in modo saltuario per diversità di ruoli o di mansione. Non da ultimo, bisogna ammetterlo, a volte ammiccare per iscritto aiuta ad alleggerire un richiamo agli stagisti piuttosto che ad ironizzare sulle correzioni apportate all’articolo di opinione concordato col cliente. Ovvio, l’utilizzo delle emoticon deve essere fatto con intelligenza e parsimonia, altrimenti si rischiano effetti controproducenti.

Ogni professionista potrà poi avere il proprio parere, ma che le emoticon siano ormai un linguaggio che è parte di noi e della nostra società è un dato di fatto, e lo vediamo anche dalla varietà di impiego nei settori più disparati. Donatella Versace alle sfilate d’alta moda ha presentato una collezione ispirata ai tratti delle faccine, dichiarando che “la tecnologia è la vera moda del momento”[2], i Linea 77 come teaser per il lancio del nuovo album hanno lanciato un contest sfidando i fan a sciogliere rebus composti da faccine per indovinare 77 nomi di band musicali[3], la band britannica The Wombat ha intitolato “Emoticons” la canzone di lancio del terzo album.[4] Addirittura Ikea ha presentato le proprie “Ikea emoticons” per agevolare la conversazione tra la coppia sull’arredamento casalingo![5]

L’imprescindibile uso dei sorrisini è sulla cresta dell’onda dunque, ed è pronto ad evolversi esattamente come ogni linguaggio degno di questo nome. Già si vedono in Instagram le creazioni di Yung Jake che propone originalissime caricature ed illustrazioni composte esclusivamente da emoticons. Anzi nel suo caso parliamo già della nuova frontiera delle faccine, perché si tratta di pittogrammi, definiti emoji, epiteto giapponese come la società che li ha creati, la NTT DoCoMo. Se pensiamo inoltre che sono stati inventati i flirtmoji per il sexting[6] e che Apple e Google stanno lavorando insieme per emoji multietniche[7] significa che i nostri messaggi saranno destinati ad essere sempre più articolati con queste faccette di prima o seconda generazione, le quali non saranno proprio più meri complementi di forma.

Hal di “2001: Odissea nello spazio” è dunque fra noi? Direi……quasi!

🙂

note

[1] http://www.dailymail.co.uk/news/article-2200529/Scott-Fahlman-Pittsburgh-professor-invented-forerunners-emoticons.html

[2] http://d.repubblica.it/moda/2015/01/26/news/sfilate_haute_couture_parigi_autunno_inverno_2015_2016_versace_atelier-2457251/

[3] http://www.lastampa.it/2015/02/01/cronaca/il-giochino-con-gli-emoticons-per-seguire-gratis-i-linea-JJLwn6X1opcLGQ880JCUlJ/pagina.html

[4] http://www.outune.net/attualita/news/the-wombats-nuova-canzone-2015-emoticons/110918

[5] http://www.androidworld.it/2015/02/11/ikea-emoticons-272218/

[6] http://www.wired.it/internet/web/2014/11/27/flirtmoji-emoticon-per-sexting/

[7] http://www.wired.it/internet/regole/2014/11/05/apple-google-lavorano-alle-emoji-multietniche/

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